Dai colori al tessuto fino alle fantasie, ecco i punti fondamentali per la scelta dell'outfit perfetto!
Lo so, lo so, a volte è impossibile fermarsi davanti ad un abito meraviglioso che sul manichino ci da l'idea di essere perfetto per noi, ma fidatevi e leggete questo articolo fino in fondo. E soprattutto, mie care lettrici, non fatevi ammaliare da quello sbagliato!
Di fattori da considerare in materia di abbigliamento ce ne sono parecchi, ma in particolare se sappiamo scegliere i giusti colori, i tessuti, le forme e soprattutto le temutissime linee allora avremo un outfit vincente!
Eccovi quindi 3 preziosissimi consigli su come scegliere l'outfit perfetto:
Ricorda che lo stile ed il colore che scegli deve sempre cercare di valorizzare le tue forme. Ci sono ovviamente dei piccoli trucchetti da seguire per equilibrare la silhouette grazie ai colori.
Ad esempio, ti consiglio di utilizzare toni scuri nei punti che vuoi snellire e colori chiari o accesi dove invece vuoi allargare otticamente la figura. A proposito dell'abbinamento dei colori invece, il miglior consiglio è quello di abbinare sempre colori per contrasto (ad esempio rosso e blu) oppure per gradazione (ad esempio rosso e arancio, o azzurro e blu). Inoltre, ricordati che è sempre meglio non indossare più di tre colori alla volta e che, se vuoi azzardare, è meglio concentrarsi su un unico accessorio dal colore acceso e mantenere l'outfit sul monocromo!
Se c'è qualcosa che tendiamo a sottovalutare nella scelta di un capo sono sicuramente loro: le temute e spaventose linee! Queste possono avere un andamento orizzontale, diagonale, verticale, e creare forme tondeggianti o spigolose. Si ritrovano in scolli, colletti, tasche, sagome di pantaloni e gonne, insomma sono inevitabili e per questo dobbiamo imparare ad usarle nel modo giusto.
Anche i tessuti oltre alle forme sono fondamentali, infatti saper scegliere un tessuto che ci valorizza è il primo passo per creare un outfit vincente. In primo luogo parliamo del cotone, il più classico ed usato, un tessuto passeparteout per ogni donna. Da scegliere se volete nascondere qualche piccolo difetto grazie alla sua cadenza morbida e leggera sulle curve.
Per quanto riguarda la lana, è un ottimo alleato per i fisici molto asciutti, in quanto volumizza la figura e, in generale, si adatta bene ad ogni tipo di fisico.
Finiamo con la seta, tessuto pregiato e morbido indicato per un look chic e punti da voler mettere in risalto!
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Per quale motivo dovresti rivolgerti a degli esperti per la realizzazione di un abito realizzato appositamente per te, piuttosto che acquistarne uno già confezionato?
Gli abiti prêt-à-porter, come appena detto sono abiti vengono venduti già confezionati in una forma e uno stile già determinati e che quindi, non possono essere modificati.
Anche per quanto riguarda le taglie, ogni abito in taglia è realizzato secondo una modellistica prestabilita, suddivisa per taglie.
Di conseguenza, con questo tipo di prodotto è facile incorrere in inevitabili problemi di vestibilità, in quanto nessun capo prêt-à-porte, può essere davvero adatto a tutti i tipi di fisico.
Inoltre ogni produttore e ha inoltre un suo sistema di misurazione e di identificazione delle taglie, il che rende praticamente impossibile trovare un unico e numero di taglia per ognuno di noi. Questo comporta la necessità di dover provare più taglie, per poter riuscire a trovare quella che possa essere più addatta al caso nostro, investendo parecchio tempo e senza avere la certezza di trovare disponibile quella che fa al caso nostro.
Molto spesso, inoltre, sono abiti di scarsa qualità, che dopo un po' di tempo non possiamo più riutilizzare.
La soluzione consiste nel rivolgersi a un esperto che realizzi un abito appositamente per voi, che possa essere studiato a 360°.
L’abito confezionato su misura parte da una modellistica di base, ovvero da un cartamodello industriale già esistente che viene scelto dal cliente per essere modificato e si adatta meglio di quelli in taglia poiché sono confezionati in base a precise misure anatomiche
.
Infatti, quando si commissiona un abito su misura, si ha non solo la certezza che quest ultimo calzi a pennello su di noi, adattandosi meglio di quelli prêt-à-porter poiché sono confezionati in base a precise misure anatomiche; ma abbiamo anche la possibilità di scegliere i materiali utilizzati nella produzione e lo stile del capo.
Si possono personalizzare grand parte delle caratteristiche e i dei dettagli che caratterizzano l’abito, partendo innanzitutto dal tessuto, arrivando poi alle tasche, bottoni, mono o doppio petto, fodera, risvolti e lunghezza dei pantaloni, pinces, ricamo interno e molti altri particolari che rendono l’abito realmente personalizzato.
In questo modo otterrete un capo realizzato con ottimi materiali, quindi un capo che vi durerà nel tempo, che vi rappresenterà a pieno, con il quale riuscirete a sentirvi veramente voi stessi.
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Scegli il tuo Outfit con criterio o questo potrà compromettere la tua assunzione.
Quando finalmente ottieni un colloquio di lavoro, cerchi di fare di tutto per essere impeccabile. Inizi a ripetere le parole da voler usare per trovare quelle che suonano meglio e ti studi una presentazione che sia degna di ciò che sei realmente. Molto
spesso chi sta dall'altro lato deve riuscire a captare in pochi minuti tutti i tuoi lati
positivi e negativi, ma ciò che devi assolutamente sapere è che non vanno a simpatia,
hanno semplicemente fatto degli studi sul comportamento della persona e quindi
anche se impari a memoria ciò che devi dire, analizzando i tuoi comportamenti e il tuo abbigliamento riusciranno subito a scoprire tutta l'insicurezza che hai provato a nascondere, anche se ti sei raccontato da premio Oscar. Proprio per questo, ti darò 4 consigli per scegliere l'Outfit giusto al tuo colloquio di lavoro in modo da essere appropriata all'occasione:
1) Evita categoricamente di indossare abiti troppo attillati o di vestire in modo
ultra-femminile, ricordati che stai andando a dimostrare le tue conoscenze e
competenze perciò, non serve a niente presentarsi con una scollatura troppo profonda.
2) Indossa un abbigliamento casual composto da pantalone, o gonna sotto il ginocchio, camicetta o lupetto, e infine la giacca in modo da dimostrare la tua serietà e la tua professionalità.
3) Dimentica di indossare i soliti vestiti che usi tutti i giorni, ricorda che
l'abbigliamento può diventare uno strumento capace di darti più sicurezza di te stesso e soprattutto dimostra sia a te stesso che a chi ti farà il colloquio che ti meriti quel lavoro. Come puoi pretendere di ottenerlo se non riesci neanche a cambiare le tue abitudini?
4) Assicurati di scegliere colori neutri e non mischiare più di 2 colori. E' preferibile optare per tinte unite, ma se non troppo eccessivo puoi anche scegliere di indossare qualche fantasia. Consulta 'Sapevi che indossare l'Outfit giusto può farti sentire più sicuro? ' per scoprire il significato che comunicano i diversi colori dei vestiti e non sbagliare mai ciò che indossi.
I vestiti rivelano molto di te, sono un'etichetta che scegli e che finisce per l'identificarti con gli altri. Presentarti ad un colloquio con un abbigliamento sexy piuttosto che uno mascolino darà l'impressione che hai la necessità di nascondere qualcosa di te e di apparire solo per la tua bellezza e non per le tue capacità. Secondo studi infatti, le donne che si presentano vestite in modo formale hanno più possibilità di essere assunte. Presentarsi in modo sobrio e identificarsi in uno stile tipicamente pulito
attraverso ciò che indossi può agevolare il risultato finale. Se hai trovato utile l'articolo lascia un commento e ricordati di iscriverti alla community.
Come prima cosa ricopio o disegno il cartamodello del corpetto sia la parte davanti che quella dietro. Devo calcolare il girocollo della parte davanti e di quella dietro. Se lo voglio stringere: il dietro lo posso lasciare così, il davanti lo scollo un po’ sempre a forma arrotondata, mi abbasso di qualche centimetro ( 2/3 cm ). Il pezzo dietro e il pezzo davanti li taglio su una stoffa in doppio. Dopo aver tagliato la parte dietro intera, senza cucitura che devo andare a creare, prendo un pezzo di stoffa uguale alla camicia che devo tagliare.
Dimensioni del pezzo: ad esempio come in questo caso se devo fare un taglio lungo 8 cm il pezzo lo prendo lungo 10 cm, per la larghezza considero 1 cm di cucitura e lascio 2 centimetri da ambo le parti ottenendo così un pezzo largo 5 cm in totale.
Posiziono il pezzo sopra con stoffa dietro dritta e pezzo a dritto ( la mia stoffa deve avare la parte dritta rivolta verso l’alto e il pezzo deve averla rivolta verso il basso in modo che le due sia combacianti ) , lo metto sul centro nel punto in cui devo effettuare il taglio e lo fermo con due spilli ai lati lasciando la cucitura al centro. La cucitura dovrà essere eseguita prima di effettuare il taglio e deve essere massimo mezzo centimetro ( anche meno 0,4/0,3 cm ) dal taglio a destra e la stessa distanza a sinistra, e le due cuciture devono proseguire per 8 cm fino al punto che devo tagliare.
Dopo aver fatto la cucitura effettuo il taglio, mi fermo 0,5/0,7 cm prima di arrivare alla fine ( quindi a 7,5/7,3 cm ), non devo tagliare fino in fondo, nella parte finale devo tagliare a triangolo, tagliando verso l’esterno per formare la forma del triangolo arrivando a circa 1 mm dalla cucitura. Rigiro il tutto dall’altra parte del buco facendo passare le parti del pezzo ( il bordo ) posizionato sopra dalla parte interna rendendo così la parte che rimarrà all’esterno pulita.
Si mettono i bottoni a “pallina” con il puntino, l’anellino, sotto per cucire e sotto si fa un’asola a mano dall’altra parte; oppure creo un’asola con il bordo che mi era avanzato dal pezzo di stoffa per fare l’apertura.
Come calcolare la lunghezza del taglio da fare: misuro la circonferenza della testa nella parte più sporgente. Se ad esempio la misura è di 56 cm devo farlo di circa 60 cm per avere sempre dei centimetri di margine. Misuro la lunghezza del girocollo che ho fatto nel cartamodello e taglio in base ai centimetri che mancano per arrivare alla misura di 60 cm.
Sei riuscito/a a montare il tuo bottone?
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Nel disegnare un figurino di moda, vi sono alcuni consigli pratici da rispettare. Ad esempio, l'idea di utilizzare una penna gel è sempre ottima per creare velocemente degli effetti lurex o glitter. Le penne gel vanno bene tutte: da quella bianca a quella oro o argento, fino a quella glitterata. Bisogna però prestare attenzione a correggere le smarginature, ad esempio realizzando il contorno con un micropunta oppure col Caran d'Ache, riprendendo i contorni. Il micropunta è ciò che rifinisce il disegno e lo si passa nell’ultima fase del bozzetto per evidenziare le linee. Dato che il suo tratto netto può non piacere, l'alternativa è quella di utilizzare la matita che funge da rifinitura del disegno.
Per quanto riguarda la colorazione, è una prassi normale quella di passare il pastello sul colore, inoltre è importante enfatizzare le pieghe dei drappeggi. La figura non deve risultare tozza. Va bene che sia formosa, ma comunque deve essere proporzionata e slanciata, inoltre il viso non deve essere compresso. Lavorare su un capo lungo può inoltre risultare più difficile che su un capo corto, perché la superficie da colorare è più ampia e ci si trova maggiormente in difficoltà. Potrebbero infatti formarsi delle righe: il modo per evitare questo è passare più volte sullo stesso punto. Lo stile di colorazione a schizzo, sebbene sembri più facile, non lo è sempre. Per qualcuno la tecnica a schizzo potrebbe sembrare d’istinto quella migliore da utilizzare, qualcun altro invece preferisce riempire. In tutto ciò bisogna individuare la propria tecnica, e non è detto che l’una escluda definitivamente l'altra. Occorre invece fare delle prove per provare a conoscere la migliore. All’inizio, infatti, tutto è in divenire: può capitare che riesca più facile uno stile, ma poi può succedere che, utilizzandone un altro, si apra un mondo nuovo di disegnare.
Per quanto riguarda i fogli da utilizzare per il figurino, anche se non sono l’optimum, all’inizio per fare pratica si possono adoperare anche quelli della fotocopiatrice. Successivamente, si potranno acquistare quelli appositi, che comunque non sono miracolosi: le righe e le smarginature si vedranno sono lo stesso, anche se i disegni miglioreranno certamente nella qualità. Per quanto riguarda il materiale, l’ideale è utilizzare i colori Pantone sui fogli compatibili (Letraset). Utilizzando altre marche si potrebbe ottenere un effetto diverso e allo stesso tempo i colori potrebbero esaurirsi molto prima.
I colori scuri, come il viola e tutti i violetti, risultano molto difficili da trattare. L’area bianca invece può delimitare le zone di colore: ha infatti questa funzionalità importante, e cioè quella di suddividere un’area di colore dall’altra. Passando sopra il disegno un po’ di volte, il colore si espande e completa l'opera da solo. Un solo passaggio infatti difficilmente è sufficiente, a meno che non si tratti di un'ombra leggera sul bianco o su un colore chiaro. Se invece si sta riempiendo un’area grande con dei colori scuri, quindi più impegnativi da usare, occorrerà passarci ripetutamente.
Il disegno potrà essere in qualche punto schizzato, in altri riempito: una volta preparata la base, si andrà poi a intervenire con le matite. Generalmente la matita è di tono più scuro rispetto alla base. Se invece si tratta di colori chiari, si può usare la matita bianca.
È importante creare varie basi per il figurino: nel fare ciò si potrebbe anche delineare uno “stile” iniziale, una figura-tipo. Ci sono molti stili diversi: alcuni figurini sono più realistici, altri più schizzati. Utile in questo senso è prendere spunto dal web (digitando una chiave di ricerca come “sketches” oppure cercando su alcuni social).
Spesso, nei figurini di moda, c’è una grande sproporzione tra gambe (magre e lunghissime) e torso del figurino, più corto. Questo è un modo di rappresentare, ma l’invito è di non esagerare perché a differenza del caso di grandi maison, nel relazionarsi col cliente non ci sarà bisogno di tali eccessi, anzi potrebbe non apprezzare stilizzazioni estreme.
Parleremo ora dei pattern dei tessuti. I tessuti sono composti da tinte unite che a loro volta possono avere diverse texture, ovvero tipologie di matericità. La texture preminentemente riguarda la tinta unita, la quale può avere un certo tipo di superficie ed è l'aspetto del tessuto stesso. Un tessuto può essere liscio, granuloso, presentare dei nodini (tessuto Bouclè), oppure essere in lana e riccioluto, di maglia… Diverso, rispetto alle texture, è il caso dei pattern. Questi ultimi sono i motivi, quindi le fantasie dei tessuti, che in molti casi hanno dei nomi ben precisi.
Ad esempio, il fiorellino piccolo che si trova generalmente sui vari cotoni (quelli da camiceria o cotoni leggeri), per lo più si chiama fiorellino provenzale. Questo tipo di fiorellino si trova in articoli di arredamento, soprattutto su carte da parati oppure sulle lenzuola.
Poi ci sono le fantasie liberty, motivi a fiori più grandi che hanno caratteristiche quasi geometriche. Anch’esse sono presenti sia nell'abbigliamento che nell'arredamento, con particolare riferimento alle carte da parati.
Possiamo inoltre definire i motivi a fiori come “fiorati”, quindi anche “fantasie floreali”.
Una cosa importante da notare quando si utilizza una certa fantasia per realizzare un capo, è se il disegno abbia un verso ben preciso. Questo aspetto è importante, perché condiziona il modo di tagliare il capo. Alcuni tessuti, infatti, presuppongono che il modello venga tagliato tutto nella stessa direzione: questo tipo di tessuti non consente di mettere allineati l'orlo di un capo e lo scollo dell'altro. A volte, per cercare di far entrare il cartamodello nel tessuto a disposizione o per sprecarne il meno possibile (in particolare questo accade per i pantaloni o le giacche), si tende a capovolgere i pezzi, anche se questa operazione non è sempre possibile.
Il caso più evidente, ad esempio, è quello dei tessuti pelosi. I tessuti a pelo, che comprendono oltre alle pellicce ecologiche anche i tessuti di lana, come la lana cardata, vanno accarezzate e va stabilito qual è il senso del pelo e in quale direzione va. Generalmente, il pelo deve andare verso il basso; quindi, accarezzando il tessuto, lo si dovrebbe appiattire e non alzare. Tutti i pezzi vanno direzionati con il pelo verso il basso: non si può capovolgere un pezzo o mettere la manica al contrario, perché si ritroverebbe la manica contropelo, per un risultato inguardabile. Questo discorso vale per tutti i tessuti, compreso il velluto liscio o a coste. Inoltre, non si possono capovolgere i pezzi dei capi realizzati con tessuti lucidi, come ad esempio le sete, perché questo cambierebbe la luce all’interno del capo. Le varie parti devono essere invece tutte nella stessa direzione.
Per quanto riguarda le fantasie, generalmente esse vengono realizzate costruendo un modulo che poi viene girato e incastrato e possono essere di diversi tipi: principalmente si definiscono “piazzate”, cioè con una parte di fantasia o di un motivo posto su di un determinato punto del capo. In questo modo si stamperà solamente in quell’area precisa e quel disegno (o stampa, o ricamo, ecc.) si dirà appunto “piazzato”, perché è stato messo solo su di un'unica parte del capo.
Invece, la fantasia “all over” è un disegno che riempie tutto e copre l'intero capo. Appare chiaro che, ad esempio, il tessuto a fiori che si va a comprare (ad esempio a metraggio) sarà, per la maggior parte dei casi, un tessuto all over, cioè interamente stampato. Per realizzare un tessuto all over si producono dei moduli quadrati che contengono la fantasia su cui si sta lavorando. Questi vengono progettati con l'aiuto di programmi grafici, in modo tale che, capovolgendone uno e affiancandolo all'altro che viene dopo, subito il disegno si ricomponga. Questa operazione di incastro deve poter avvenire ruotando il disegno in tutte le direzioni. Ciò consente un migliore utilizzo del tessuto stesso perché i pezzi si possono piazzare liberamente senza vincoli. Dunque è preferibile verificare che la fantasia che si va ad usare si possa utilizzare anche testa-orlo, altrimenti occorrerà mettere tutti i pezzi nella maniera opportuna, e cioè tutti nella stessa direzione.
Il disegno patchwork, invece, è composto da un insieme di pezzi di tessuto casuale messi assieme. La sua origine deriva dall'assemblaggio di avanzi di tessuto per crearne uno nuovo. Il patchwork è solitamente utilizzato per le coperte, mentre in alcuni periodi è stato molto in uso nell'abbigliamento. Ad oggi il disegno patchwork si trova spesso reinterpretato come stampa all over, e quindi non più come tanti pezzettini di stoffa cuciti gli uni con gli altri.
Quando un tessuto è stampato, generalmente la parte posteriore rimane più chiara. “Stampare” infatti vuol dire imprimere un disegno, tramite tecniche di stampa, sul davanti del tessuto. Se questo non è particolarmente pesante, il dietro lascia intravedere la stampa, che non è pulita e definita, quindi occorrerà prestare attenzione che non si veda. Inoltre non bisogna disfare più volte i tessuti stampati, perché la stampa è un colore posto sul tessuto, quindi passandovi ripetutamente con l’ago si rischia di portare via il colore in alcuni punti, dove rimangono tanti buchini bianchi che non vanno più via.
Un'altra tecnica è l’Ikat, che non è una vera e propria colorazione, perché costituita da disegni realizzati con un telaio. Proprio dall'intreccio dei fili, infatti, si genera questa particolare tipologia di disegno etnico.
Sono motivi con foglie persiane con la punta curva. Anche questo è un disegno che ha i suoi corsi e ricorsi storici, per cui ogni tanto lo vediamo dappertutto, poi sparisce per un po’ e poi di nuovo torna in voga. L’unico settore dell’abbigliamento da cui questo tipo di fantasia non è mai sparita è quello delle fodere. Realizzando un capo in tinta unita e inserendovi una bella fodera con un qualche tipo di motivo (che può andare dalle righe, ai fiori, ai Paisley, a quello a quadri, fino ai disegni geometrici) gli si conferisce un tocco in più che fa la differenza. Come nel caso delle giacche, ad esempio.
Si tratta di tessuti che presentano particolari decorazioni floreali stilizzate dal sapore retrò. Il damascato generalmente è un tessuto tinta su tinta con particolari disegni, spesso utilizzato per l’abbigliamento da cerimonia, soprattutto da uomo (nei classici gilet, oppure per esempio anche sulle gonne da donna a pieghe grandi). In questo tessuto, inoltre, c’è sempre un contrasto lucido/opaco, per cui o si avrà la base lucida e il disegno opaco, o viceversa. Nelle sue forme più semplici viene usato per l’arredamento (coperte o copriletto).
Per quanto riguarda il broccato, si tratta di un tessuto piuttosto corposo con disegni di base che molto facilmente possono essere intessuti con fili metallici (oro, argento, bronzo…). Non è infrequente, inoltre, l’utilizzo del broccato nell’alta moda. Esiste anche una variante di broccato giapponese che ha un tipo di lavorazione simile a quello europeo, seppure siano diversi i disegni e i colori che non presentano necessariamente oro e argento, ma viene utilizzato un filato normale. Vi è poi il broccato di velluto, dove è utilizzata una basa rasata e il disegno invece risulta vellutato. Questo tipo di broccato è più vicino a quello “storico”, ed è utilizzato ad esempio da chi ha a che fare con abiti d’epoca, intessuti su telai storici.
Presenta delle parti trasparenti che vanno a formare diversi tipi di disegno. Il devorè può essere geometrico, floreale o a pois. Le parti più chiare vengono realizzate attraverso la scoloritura del tessuto con degli appositi prodotti che quasi ne corrodono una parte, e quindi ecco che si crea un disegno più leggero. Certe volte vengono definiti devorè anche alcuni ricami, ma questa dicitura non è corretta perché la tecnica del devorè prevede che vi siano delle aree di tessuto che vengono trattate con sostanze corrosive. La stoffa viene quindi preparata prima tramite apposite lavorazioni, affinché non si rovini.
Con il termine “delavè” si indica invece un tessuto (che potrebbe essere jeans, cotone o lino) lavato in maniera energica e che quindi perde una parte del colore, anche in maniera non del tutto uniforme.
Che hanno un piccolo pois in rilievo, i quali possono essere molto facilmente di cotone o anche di tulle. I disegni optical, invece, sono costituiti da fantasie con motivi geometrici modulari ricorrenti. Per quanto riguarda i quadrati vichy, essi sono spesso presenti nei tessuti della camiceria. Il pattern a quadro più grande, invece, si chiama “damiè”, proprio perché richiama una scacchiera (da Dama).
Il tartan è un tessuto di origine appunto scozzese, che storicamente stava ad indicare i diversi clan scozzesi. Ogni famiglia aveva un suo tartan specifico, ed era dal particolare quadro che si poteva dedurre l'appartenenza a questa o a quella comunità. Ne esistono tantissime varietà, e in Scozia si trovano ancora i cataloghi dove risultano le diverse fantasie di tartan, con indicati i clan corrispondenti. Chiaramente, anche per il tartan vale il discorso che, nel tempo, la moda l'ha fatto suo e lo ha adeguato. Ad esempio, i colori dei tartan scozzesi non erano brillanti come quelli che vediamo.
Particolare è il caso del tartan Burberry, la casa di produzione britannica. Si tratta di un tartan beige a righe nere e rosse, che è sotto Copyright ed è stato uno dei primi ad essere adottato dal mondo della moda. Con il tartan veniva realizzata anche la fodera interna degli impermeabili. Tra l'altro, Burberry fu tra i primi, forse in assoluto, a creare il classico trench. L'interno era rivestito con questo tessuto che all'epoca era in lana e che addirittura poteva essere utilizzato come coperta per i soldati al fronte.
È una tipica fantasia a quadri, formati da ulteriori quadrati all’interno, spesso a righe rosse, che attraversano la fantasia. Siccome questo motivo viene quasi sempre abbinato ad un tessuto da uomo di medio peso, come ad esempio il fresco lana, alla fine si è presa l’abitudine non corretta di identificarlo con questa particolare fantasia. Non è esatto, perché la base su cui viene stampato il principe di Galles potrebbe essere di lana, ma potrebbe essere anche di cashmere o lino.
Fa parte delle lane inglesi, una categoria di tessuti abbastanza a sé stanti. Ce ne sono di diversi tipi e tutti quanti hanno presentano come caratteristica comune il fatto di essere piuttosto rigidi. Poi, nel tempo, anche lo spigato è stato importato dappertutto e riprodotto anche su tessuti più morbidi rispetto alle lane inglesi. Infatti, si possono facilmente trovare in commercio tweed da donna soffici, a differenza della lana inglese, molto secca. Nella sartoria da uomo, i tweed vengono solitamente chiamati con il loro nome specifico, ovvero: Prince of Wales (principe di Galles), Harris Tweed, Herringbone Tweed, Highland Tweed e Houndstooth Tweed e Donegal Tweed (chiamato anche “bottonato”).
Molto usato, si ottiene invece attraverso la tessitura. È incrociando i fili, infatti, che si ricava questa fantasia tipica, talmente popolare nel tempo che è stata riprodotta in tantissime dimensioni diverse. Oggi possiamo notare, infatti, pied de poule piccolissimi o giganti, dove la fantasia è stata anche stampata. Se la fantasia è ricavata dalla tessitura, il dritto e il rovescio risulteranno essere uguali; se invece è stampata, il rovescio sarà più chiaro.
È un tipo di tessuto non omogeneo né nella fantasia né nelle diverse tipologie. Il più materico tra i vari tipi si chiama “pizzo macramè”. Dalla conformazione piuttosto pesante, il macramè è un pizzo che non viene ricamato sulla base di tulle, come invece accade per gli altri modelli. Cambiano infatti le modalità di lavorazione: il pizzo macramè, per essere ben lavorato, deve essere infatti incrostato, cioè ritagliato tutto intorno seguendo certo tipo di disegno ed incrociato con un altro pizzo adiacente, in modo che il taglio si confonda il più possibile.
Il pizzo Chantilly è un pizzo francese ricamato su tulle, che a volte può avere un cordoncino intorno. Il pizzo Valencienne, invece, è simile allo Chantilly, ma non ha il cordoncino intorno al disegno.
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Elisa Pallotta
Volete diventare anche voi maestri della provocazione e creare abiti che facciano parlare di sé? Ecco qualche dritta per imparare a fare scalpore.
Due giovani stiliste, Grisel “Madame” Leblanch e Valentina Mereu, presentano i loro bozzetti allo sguardo sicuro di Orietta Ciccarelli, la signora della fashion school Accademia Monti. Si ispirano dal cinema, dalla musica, dalla sottocultura glam, e accompagnano il loro lavoro da immagini simboliche. È chiaro, sin da subito, l’intento dei loro modelli: superare i limiti e fare scalpore.
L’intendo provocatorio dell’alta moda è da sempre una parte integrante di essa, e negli ultimi decenni non sono pochi i nomi dei grandi stilisti che hanno dato priorità, coi loro disegni, alla creazione di uno stile eccentrico e lontano da ciò che viene riconosciuto come comune decoro. È la moda alternativa: uno stile di vita, un lavoro, una manifestazione artistica. Ma come fa notare Ciccarelli alle sue pupille non basta inserire forme particolari e pattern azzardati per proclamarsi provocatrici.
E voi, vi sentite pronti ad affrontare la sfida dello scandalo?
Se anche lo foste non c’è fretta: prima mettetevi comodi e ascoltate qualche dritta per farlo bene, da Ciccarelli e dalla Storia stessa.
Il termine moodboard “tavola d’atmosfera”, a riferimento a un lavoro grafico digitale in cui immagini, colori e richiami alla cultura pop vengono combinati artisticamente in un impalpabile collage. Il guizzo artistico c’è, ed emerge dalla combinazione degli elementi: cosa appare nel loro grafico, in che ordine, con che struttura. Quali sono i colori, le linee, le estetiche determinanti e le immagini al centro del lavoro. Una vera e propria interpretazione scenica, che permette di far prendere vita a una proposta artistica in modo immediato e calzante.
Ed è così che un mantello rosso che garrisce al vento, un cielo senza nuvole, una meteora tra le stelle e una gentile mano aperta rievocano il personaggio di Superman. Una scarpetta di vetro, una zucca, qualche topolino e un rocchetto di filo richiamano alla mente Cenerentola. La moda prende in mano questo linguaggio e costruisce attorno ad esso un’intera installazione. La qualità evocativa delle immagini preesistenti si combina con i guizzi artistici dell’autore, che rielabora nella mente colori, forme e tropi stilistici riportati nella moodboard per dare vita a capi d’alta moda che richiamano le immagini alle quali siamo familiari.
“La moodboard”, riassume Ciccarelli, “non è solo una raccolta di immagini. Dovrebbe servire […] dare l’idea, l’atmosfera del tema che si è scelto. Dovremmo cercare delle immagino che evocano nella persona che guarda questa moodboard le suggestioni dell’ambiente o dell’ispirazione in cui noi la vogliamo trasportare”.
L’aspirante stilista Valentina Mereu, nel suo bozzetto, celebra la stagione e la nostalgia. Il suo modello si ispira a uno dei personaggi più conosciuti del cinema gotico mainstream. Beetlejuice, interpretato al cinema da un effervescente Michael Keaton, è – come tutte le creature strisciate fuori dalla mente di Tim Burton – immediatamente riconoscibile. Nessuna sorpresa che abbia lasciato la sua impronta anche nella mente della giovane stilista, abbigliato in un accattivante completo a righe verticali bianche e nere, per riportare alla mente il bizzarro personaggio. Con un pizzico di Jack Skeletron, da The Nightmare Before Christmas, nella riconoscibile linea del frac e nell’affilato papillon.
Sono buoni punti da cui anche voi potete partire: lo stile è uniforme, la visione artistica di Tim Burton è conosciuta, la sua estetica è distinta e riconoscibile. Ma c’è un ma. “Quello che potrebbe essere migliorato”, fa notare Ciccarelli a Mereu, “è creare l’atmosfera di Tim Burton. Che cosa ti suscita […] Che tipo di emozioni”. Non solo i vestiti, ma anche l’ambiente circostante, tutto filtrato dallo sguardo e dalla nostalgia dello stilista. Non basta caricare su schermo una locandina del film, per suscitare l’atmosfera del Maestro dell’Orrore: bisogna far prendere vita ai suoi mondi, costruire un universo à la Burton attorno ai bozzetti. “Da cosa”, chiede Ciccarelli, “potevo intuire quale fosse l’ispirazione?”
Studiate i vostri personaggi e le vostre culture preferite, ma non limitatevi a copiare e ricalcare. Scoprite le loro influenze, andate indietro nel tempo, e cogliete tutte le ispirazioni possibili. Fate vedere al vostro pubblico che sapete di cosa state parlando: e soprattutto che vi piace.
“Parigi [era conosciuta] per il grandeur. L’Italia per il buon gusto. L’Inghilterra per la stravaganza”: è così che Ciccarelli apre la sua trattazione sulla moda alternativa nel passato. E non si può parlare di stravaganza inglese senza dedicare almeno uno sguardo a Vivienne Westwood, la santa patrona (pagana) del punk. In un’Inghilterra che lasciava alle spalle i toni manierati e composti dello stile beatnik, e cominciava anche a stancarsi della sognante leggerezza dello stile dei figli dei fiori, ecco emergere una boutique chiamata semplicemente “Sex”. Il regno di Vivienne Westwood, una “pazza autentica” nelle parole di Ciccarelli.
Ma la storia di Westwood non si conclude col punk, e gli abiti della sua tarda carriera hanno poco a che vedere con il lattice e le borchie del suo debutto. La stilista era appassionata di costume storico, e la sua creatività prende vita in una combinazione di passato e presente. Crinoline (già tentate nel punk, in formato pieghevole e quotidiano), gonne ampie e scollature a forma di cuore, nei colori del nero come del rosa pastello. Gli ultimi modelli osano ancora di più, ricalcando il costume classico di Arlecchino. “È la sua versione degli abiti costume”.
Da emblema di ribellione, Vivienne Westwood diventa baluardo di una cultura e tradizione più raffinata, ben inserita nella Storia, ma fuori dalla passerella non abbandona la sua velleità ribelle. Le sue ultime magliette recano la scritta “I AM NOT A TERRORIST, please don’t arrest me” (“non sono un terrorista, per favore non arrestatemi”). I richiami alla cronaca contemporanea, in particolare ai fatti sulla brutalità della polizia, sono evidenti e sonori. E ricordano, naturalmente, le origini del punk: una ribellione ai sistemi ingiusti, all’oppressione dei più deboli, allo strangolamento della libertà.
Siamo, naturalmente, in tempi molto più aperti – mentalmente, come in termini di moda – rispetto agli anni settanta che videro l’ascesa alla ribalta di Vivienne Westwood. Ma ci sono ancora molti altri modi per creare qualcosa di nuovo e mai visto prima. Non abbiate paura e lasciate andare la fantasia: la moda è una tela bianca tutta da colorare.
Su cosa basare un abito alternativo abbandonando i riferimenti moderni?
Come si faceva, per esempio, quando Tim Burton non lavorava e non c’era un Beetlejuice da cui ispirarsi?
Lo spiega Ciccarelli, raccontando le velleità alternative degli stilisti degli anni settanta. Un vero e proprio accordo intercontinentale, in cui le sensibilità brit-punk di Vivienne Westwood incontrano l’avveniristica eccentricità del designer giapponese Takada Kenzo.
La passione di Takada era il colore, che combinava in modo eclettico e pittoresco: una netta deviazione dagli stilisti suoi contemporanei in Giappone, nelle cui collezioni campeggiava il nero. Amava gli abiti folcloristici, dai quali costruiva i suoi modelli fin quasi a creare veri e propri costumi di carnevale. E facendo proseliti: il nome che spicca sugli altri è italiano, quello del sardo Antonio Marras. Takada verrà accompagnato dall’alta moda per tutta la vita, letteralmente fino alla fine. Viene a mancare nel 2020, presso l’Ospedale Americano di Parigi a Neully-sur-Seine: la stessa clinica dove morì Karl Lagerfeld.
Ma anche tra gli amanti del total black, in Giappone, vige la varietà. Spicca il nome di Issey Miyake, eclettico artista che si diletta di arte e artigianato parimenti che di stilismo. Il suo percorso formativo lo conduce sotto l’ala protettrice delle alte sfere della moda francese: Guy Laroche, Hubert de Givenchu, Geoffrey Beene. Nessun intento, però, di limitarsi a seguire passivamente le loro tracce. I disegni di Miyake si predicano sull’idea che gli usi e le mode francesi non sono un vangelo, e che anche per i discepoli c’è possibilità di scelta.
Issey è chiamato il Fortuny Della Moda – in riferimento all’omonimo creatore di abiti plissettati dalla tecnica ancora inconoscibile, che era possibile piegare e scomporre in una piccola borsa. Anche lo stilista giapponese si appassiona al plissé, riprendendo da stoffa e disegni caratteristiche della cultura giapponese per creare abiti-statue dalle forme solide, scolpite e geometriche. Una sperimentazione che esiste fuori dalla nostra cultura: “di italiano, a far così, mi viene giusto Capucci”, commenta Ciccareli. A indossare alcuni dei modelli, tanto rigidi e scolpiti, risulta difficile anche solo camminare: il paragone immediato è quello con le geishe, e le loro movenze a piccoli passi. Qualcosa che solo uno stilista giapponese avrebbe immaginato.
Ma ci sono tante altre culture, dentro e fuori dall’Italia, con modelli che vale la pena scoprire. Mettetevi in gioco anche voi, combinate gli elementi che vi piacciono di più e create un modello mai visto prima. Preferite i riferimenti storici o volete che il vostro pubblico sogni il futuro?
Sta a voi decidere.
Concluso il paragrafo sul Giappone, Ciccarelli sposta il navigatore e conduce le sue spettatrici inin Inghilterra. Siamo negli anni settanta: l’epoca di Mary Quant e del punk, in cui la moda di strada viene elevata fin sopra le passerelle. Un nome che spicca su tutti è quello di Biba, “il marchio simbolo della Swinging London”. Creato nel 1963 dalla stilista Barbara Hulanicki e dal marito Stephen Fitz-Simmons, il brand viene sintetizzato da Ciccarelli come un’antenata oltreoceano di marchi come Zara. Una moda pulita, immediata e pratica, che punta a un pubblico giovane desideroso di combinare uno stile moderno con prezzi accessibili. I grandi magazzini Biba, aperti a Londra, accompagnavano l’immediatezza delle loro collezioni con un’architettura d’altri tempi, ispirata allo stile Liberty. Decisione, sulle prime discutibile: in che modo un’estetica proveniente dal mondo dei loro genitori dovrebbe suscitare le simpatie di una nuova generazione?
Eppure Biba piace, e il suo inconfondibile logo a forma di fiore dorato diventa uno stemma riconoscibile e prezioso. L’architettura sontuosa, ricordo di un’epoca passata e distante, contrasta con una moda contemporanea e fresca, che dà priorità alla vestibilità. Maglioncini, pantaloni a zampa, vestiti e cappotti ricchi di pattern e stivali di vernice, venduti in quella che più che una boutique dell’epoca pare un museo. I testimonial si sprecano: spicca il fascino adolescenziale di Twiggy, “il prototipo di bellezza di quegli anni, la nostra Kate Moss”. L’arredamento accoglie subito il pubblico, flirtando giocosamente con il sensuale: i bagni e le aree riposo presentano cuscini dai toni gioiello, divanetti, poster di modelle discinte.
Non dovrebbe dunque sorprendere che Biba espande il proprio brand, allargando le vendite anche oltre l’abbigliamento. Vendono trucco, oggettistica, materiale d’arredo, e su ogni cosa campeggia un inconfondibile logo dorato su fondo nero. All’epoca esporre loghi tanto grandi sui propri capi e oggetti d’uso era considerato di cattivo gusto: ma il logo di Biba – solitamente nella forma di un fiore – diventa uno stendardo di riconoscimento, sotto la cui egida si riuniscono la gioventù di Londra e le popstar del momento.
L’epopea di Biba si conclude negli anni settanta: il suo momento d’oro è passato, e Barbara Hulanicki vende i diritti del brand. Come si poteva, dopotutto, mantenere un grande magazzino da cinque piani con capi a poco prezzo, di immediata vestibilità? Di Biba rimane la leggenda, che risorge dalle sue ceneri col ritorno in auge del vintage anni settanta. Gli appassionati di fast fashion, in cerca di un pezzo di storia, sanno dove riunirsi: sotto un palazzo di altri tempi, sotto uno stendardo nero e oro.
Quelle parole le ascolta anche Grisel Leblanch, altra aspirante stilista, che si presenta lo pseudonimo Madame Leblanch, a conquistare il cuore (e gli occhi) di Ciccarelli? Nonostante gli abiti bianchi che campeggiano alle sue spalle mentre presenta il suo lavoro alla sua superiore, anche lei mostra un’immediata affinità col gotico. Ha dalla sua un gatto nero, dal macabro nome di Salem: e nonostante il detto popolare, la fortuna gira dalla parte della sua proprietaria. La sua modella è giovane donna sorridente, vestita di rosso, che solleva la sua lunga gonna come per abbandonarsi a un ballo. “Il vestito va bene”, proclama Ciccarelli: e anche Grisel sorride, come la sua musa.
Si lavora con programmi di grafica semplici: anche Canva va bene, per impratichire il proprio senso estetico. Le moodboards, puntualizza Ciccarelli, collocano i bozzetti “nella giusta atmosfera”: la chiave di volta per incantare il pubblico e sorprenderlo per davvero. La moda, nelle parole della direttrice, diventa un banchetto raffinato. Se il bozzetto è il pasto, la moodboard che lo accompagna è la tavolata: un servizio fine, una tovaglia pulita e una stanza bene arredata saranno sempre la prima impressione per i commensali.
E dopo? Continuare a lavorare, in cerca di un tema e un team col quale continuare a rodarsi per il campo di battaglia chiamato “lavoro d’atelier”. Un lavoro che non esiste in tempo reale, ma che si dipana nel tempo ed evolve in continuazione, vivo come i pensieri della persona che l’ha creato.
Nel frattempo si torna da Valentina Mereu, e alla sua passione per le sue sottoculture. Il suo secondo bozzetto – con la modella disegnata con un braccio dietro la schiena, perché disegnare le braccia è un incubo che infesta anche i professionisti – porta alla vita il mondo del rock and roll. Mereu battezza la sua nuova musa Victoria Thoizon e accompagna la sua sfilata cartacea con immagini glam di microfoni e riflettori accesi. Ciccarelli, stavolta, ha ben poco da ridire: pochi tessuti, poche idee, ben combinate ed elevate. Less is more, come si dice in gergo. Basta che il messaggio passi.
Ricordatelo bene anche voi: bisogna sapersi divertire e non bisogna spaventarsi all’idea di creare qualcosa di strano, ma l’obbiettivo primario è creare qualcosa di riconoscibile e gradevole. Una silhouette immediatamente visibile e pochi elementi riconoscibili creano i lavori più efficaci.
Verso la fine della lezione, a Ciccarelli resta poco tempo. È allora che con un veloce sguardo alla moda del decennio seguente chiude in maniera definitiva il paragrafo sull’epoca conclusa. Gli anni ottanta si lasciano alle spalle la sregolatezza dei 70s e puntano a uno stile essenziale e slanciato, adatto a un mondo del lavoro che non faceva prigionieri. È l’epoca degli yuppie, di American Psycho e del lusso sfrenato. “Donne belle e disponibili, sole e spiagge, musica pop, cocktail e coca”: così lo riassume Ciccarelli, e quel mondo di consumi si richiede anche costumi di scena adeguati.
Un mondo di uomini, ma anche donne in carriera. Le differenze di genere si scremano: tutti portano spalle strette, spalline imbottite e vita molto marcate. Le donne si tagliano i capelli, su modello delle dive Annie Lennox e Grace Jones e indossano il tailleur a lavoro. Limitano la femminilità più tradizionale agli abiti da sera, che pur mantengono i colori più cupi dei capi da lavoro, e la lingerie, costosa e spesso ostentata attraverso i vestiti. Lo si può vedere nelle serie tv, che celebrano ed estetizzano la vita degli ultraricchi: Dallas, Dynasty e Miami Vice. Zero problemi morali, zero interesse per politica e ideologia: soltanto soldi, divertimento e lussuria. Perché, dice scherzosamente Ciccarelli, non farsi una “riga” di affari propri?
Il racconto si conclude qui, ma la storia che racconta continua anche al di fuori delle scuole di stilismo. Continua sui bozzetti delle nuove stiliste, che fanno del disegno forte e delle linee marcate dei loro predecessori i punti di forza della loro ragionata provocazione. Continua nel lavoro di Valentina Mereu e Geisel Leblanch, e nella personalità forte di Orietta Ciccarelli – continua sui tavoli di lavoro degli stilisti emergenti, nelle loro personalità eccentriche, e nelle pagine di chi, quella storia, vuole continuare a raccontarla.
E potrebbe continuare anche da voi, se sfrutterete bene i vostri talenti e il mondo che vi circonda.
Se terrete gli occhi aperti e vi lascerete coinvolgere da quello che vedrete potrete diventare, anche voi, i prossimi passi nella storia della moda. Che sarà diversa da quella del passato, perché diversi sono i tempi in cui nasce, ma che avrà impressi i pensieri e i desideri del suo pubblico.
Siete convinti da questi consigli?
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Lady R
Spesso si crede che dietro la realizzazione di un progetto aziendale, l’unica strategia vincente sia la pianificazione selettiva. Nonostante pianificare è essenziale in qualsiasi progetto si voglia intraprendere per raggiungere un determinato obiettivo, esso non è l’unico strumento che gli imprenditori dovranno adoperare per compiere la loro impresa. Quando ci si approccia a realizzare un piano aziendale, bisogna tenere in conto il valore che si sta mettendo in gioco. Nell’intrapresa di un percorso imprenditoriale, un individuo andrà ad investire tutta la propria vita futura. Pertanto, il risultato finale sarà la somma delle singole azioni che giorno dopo giorno gli imprenditori andranno a compiere. Il segreto del successo, infatti, non sta nella schematicità del progetto, ma nella qualità di ogni mattone che andrà ad incastrarsi con gli altri blocchi, portando alla realizzazione di un muro alto e resistente.
Se non si progetta come andare a costruire il muro, non sapremo mai dove e quando collocare il mattone. È per tale motivo, che la gestione del tempo individuale è imprescindibile dalla realizzazione dell’opera imprenditoriale. Ma come riuscire a trovare più tempo? Molto spesso ci si pone questa domanda, soprattutto quelle persone che non trovano mai un’ora di tempo da dedicare alle proprie passioni. La risposta è semplice! Tutti abbiamo a disposizione la stessa quantità di tempo: essendo noi gli artefici delle nostre vite, siamo noi a gestire il tempo. Non è infatti la quantità di tempo che si impiega alla realizzazione di un progetto a conferirgli successo, ma la sua qualità che ad essa trasferiamo.
C’è un momento particolare in ogni percorso di successo dove subentra la paura di non farcela, dove i mattoni da incastrare nel muro sono troppo pesanti o ancora la vetta da scalare è alta. Molto spesso, chi crede di non farcela spesso finisce per aver ragione, come saggiamente ci dice Confucio. La chiave per superare l’ostacolo in questi momenti è la modalità attraverso la quale affrontiamo un problema. Ad illuminarci la via è Will Smith, uno tra le più grandi stelle del cinema Hollywoodiano, che in una serie di interviste, rappresenta perfettamente la filosofia, i valori ed i principi che devono muovere gli imprenditori di successo, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà.
“Molto spesso quello che succede è che rendiamo delle situazioni più complesse di quanto esse debbano essere. Non siamo cresciuti con la consapevolezza che quello stavamo facendo era un passo verso quello che saremmo diventi in futuro.”
Quello che l’attore sta cerando di dirci è che, molte volte, ci mettiamo in testa di non potercela fare e falliamo. A sostenere la tesi di Smith, arriva in soccorso la neurolinguistica. Questa scienza, nata negli anni Settanta in California, si occupa del comportamentismo fondamentalmente degli esseri umani. In pratica, essa analizza i meccanismi cognitivi del linguaggio, andando a studiare come il linguaggio influisce sull’elaborazione di informazioni relative al linguaggio e come il cervello adopera poi nelle azioni. Un esempio lampante che descrive il meccanismo del fallimento è quando ci si mette in testa che una cosa andrà in un certo modo fai di tutto consciamente o inconsciamente affinché vada in quel modo. Molto spesso, l’inconscio fa di tutto perché quella cosa si avveri in modo da potersi dire di aver avuto ragione. Quindi se ci si focalizza su quello che va bene e sul risultato desiderato, l’inconscio lavorerà per andare in quella direzione. Viceversa, se ci si focalizza su un risultato non desiderato, di conseguenza l’inconscio muoverà le azioni in quella direzione.
Will Smith continua:
“La separazione tra talento e abilità è uno dei concetti più fraintesi dalle persone che stanno cercando di eccellere, chi ha sogni e che vogliono realizzarli. Il talento lo hai naturalmente ma si trasforma in abilità quando sviluppata da ore e ore di impegno sul tuo mestiere”.
Mike Tyson, Diego Armando Maradona, Michael Jordan, Simona Atzori, la ballerina italiana di danza classica senza braccia, sono tutti esempi di quanto il talento non basta per avere successo. Basti guardare il documentario Rising Phoenix su Netflix: racconta la storia delle paraolimpiadi, di come esse hanno portato alla nascita di un movimento globale che sprona la società a cambiare punto di vista sulla disabilità, sulla diversità e sul potenziale umano. Tutte le storie dei personaggi elencati sopra ci dicono quanto il talento non sia sufficiente per realizzare un sogno: se non si sviluppa un progetto con lavoro, impegno, fatica, passione, determinazione e sacrificio, il talento non servirà a nulla. Michael Jordan è diventato più grande campo della storia in pallacanestro e da bambino tutti lo ridicolizzavano perché non riusciva a buttare nel cesto la palla. È quello che abbiamo nel cuore, quell'energia che viene dentro di noi che sposterà le montagne, anche solo per costruire un semplice muro. Chi è madre lo sa: le mamme sarebbero disposte sacrificare la propria vita per i figli senza pensarci due volte. È proprio questa energia che va coltivata, nutrita e celebrata. Soltanto così, gli imprenditori individueranno l’obiettivo della propria vita, trasferendo quell’energia nel loro progetto aziendale.
Smith chiarisce questo concetto ancora una volta:
“Mi sono divertito moltissimo con la mia vita e voglio condividerlo. Amo vivere e penso che sia un qualcosa di veramente contagioso, che non puoi fingere. La grandezza della vita non è quella caratteristica esoterica, illusoria o simile a un dio che soltanto le persone speciali assaporeranno: è qualcosa che esiste veramente in tutti noi è molto semplice. E’ ciò in cui credo e sono disposto a morire per questo.”
Il senso della vita, come possiamo evincere dalle frasi di sopra, è centralizzato su due principi. Il primo, si trova nel rispetto della vita stessa. Gli imprenditori devono imparare ad apprezzare la vita in tutte le sue sfaccettature, riconoscendone la loro energia. Ed è proprio generando vita, donandola all’altro che la si onora, trasferendone il suo dono ad altri. Il secondo principio riguarda l'apprendimento. Se non ci si rimbocca le maniche per coltivare, nutrire e sviluppare le nostre virtù, non saremmo mai abili costruttori e il muro non verrà mai costruito per intero.
Benché abbiamo visto come la strategia principale per avere successo sia quella di compiere ogni giorno azioni di qualità, è bene anche capire come una certa progettualità e sapere dove andare possano essere utili all’imprenditore. Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. Normalmente, il lavoratore dipendente cerca sicurezza considerando che il suo lavoro gli occupa circa il 50 per cento delle ore di veglia. Il dipendente vende il proprio tempo in cambio di uno stipendio grazie al quale vivere. Fa parte del sistema: prima si studia, si ottiene il diploma, l'università e poi si trova un lavoro e soltanto dopo si compra casa e si mette su famiglia. In questa vita schematica, dove più o meno il lavoratore dipendente è limitato da uno stipendio di circa 1000-1500 euro mensili, non ricerca altro, ma soltanto la sicurezza di potersi mantenere.
L'imprenditore, al contrario, ha come valore principale la libertà. Anche se gli imprenditori hanno lo stesso tempo a disposizione di una persona normale, e parte viene dedicata al sonno, nella loro vita non c'è distinzione tra lavoro e vita privata. Loro utilizzano tutto il tempo che hanno a disposizione per compiere quell’impresa, adoperando tutta la loro vita. Alla domanda “qual è la sola persona in grado di cambiare il mondo?”, l’imprenditore risponderà che è colui che egli guarda allo specchio ogni mattina. L’imprenditore non può aspettare che qualcun altro faccia le cose al suo posto. L’unico modo che ha per cambiare il suo mondo è partire da sé stesso. Infatti, mettersi in discussione è fondamentale per cambiare modo di pensare, di agire e di comunicare. Trincerandosi davanti alle proprie convinzioni, si ignorerebbe nuove informazioni utili al proprio progetto. Svolgere una serie di azioni che possano portare ad individuare opportunità per l’azienda, è fondamentale. Ciò, servirà per modificare il progetto d’impresa e raggiungere il risultato desiderato.
La filosofia messa in pratica nel mondo imprenditoriale si discosta da qualsiasi paradigma classico: non serve avere un diploma, una laura, riconoscimenti, una macchina. Nella civiltà odierna in cui ci troviamo, conta più l’avere che l’essere. Per diventare imprenditori di successo bisogna invertire tale paradigma: si parte dall’ essere per poter di conseguenza fare bene le cose giuste. Nella definizione di “essere” dell’imprenditore rientrano tutte qualità quali onestà, integrità, etica ed una scala di valori. Tutte le cose materiali verranno solo in un secondo momento e saranno solo una conseguenza del lavoro imprenditoriale, ma non saranno la causa del loro successo.
Un'altra caratteristica fondamentale per il lavoro imprenditoriale è l’autodisciplina.
Affinché gli imprenditori raggiungano il risultato desiderato, devono mantenere una certa coerenza a convergere le loro azioni nella stessa direzione della sua scala di valori. Autodisciplina significa disciplinarsi da soli. Quando si è dipendenti questo compito viene affidato dal proprio datore di lavoro o al proprio capo. Perciò, in veste di imprenditore serve un grande senso di responsabilità. E ci si assume la responsabilità si conferisce a sé stessi il potere di cambiare le cose. Invece, se si affida la responsabilità ad altri, si darà a loro il potere di rispondere una certa situazione, lavandosene le mani. Autoconsapevolezza è per definizione la capacità di riuscire a vedere le cose come stanno in maniera oggettiva onesta sincera, avulsa, ovvero estranea a qualsiasi giudizio personale. L’ignoranza oggi è una scelta: una volta sono i figli dei ricchi potevano andare a studiare nelle migliori università spostarsi di città prima di questa epoca digitale avevano il privilegio di potersi permettere l'acquisizione di conoscenza adesso la portata di tutti ed è gratis quindi non ci sono più scuse. Chiaramente, è necessario tanto impegno e tanto lavoro, non esistono scorciatoie per il successo.
Elon Musk, Jeff Bezoz, Warren Buffet, Bill Gates, tutti grandi imprenditori di successo, hanno avuto tutti la stessa quantità di ore e alcuni di loro sono partiti da zero. Com’è possibile, allora, che siano riusciti a raggiungere tali risultati? Loro hanno negato tutte le distrazioni che li distoglievano dal loro obiettivo.
Ogni attività imprenditoriale sarà costernata da diversi ostacoli lungo il percorso. Per quanto riguarda un percorso imprenditoriale di moda, per esempio, l’imprenditore si troverà davanti a tanti “no” consecutivi da parte dei clienti. Poi, arriverà quel primo cliente a dargli fiducia, che magari porterà un secondo cliente e piano piano si inizierà a costruire, mattone dopo mattone, passo dopo passo, un’azienda di successo. Anche quando si iniziano ad avere un paio di clienti e passa molto tempo prima di averne un altro, bisogna tenere duro e lavorare duramente affinché non si riparta da zero.
Ci sono alcune strategie che possono aiutare l’imprenditore a superare questi ostacoli. Una di queste è essere competenti in marketing. Spesso si pensa che l’arte del marketing faccia riferimento alla pubblicità e alla vendita. In realtà, il marketing è tutto ciò che precede e prepara la vendita. Un esperto di business è un conoscitore del proprio prodotto e dei propri clienti, sa chi sono, che problemi hanno o in che modo il suo prodotto può essere la soluzione adatta a loro. Nonostante bisogna essere competenti in strategie di marketing, è sempre necessario un bilancio per misurare quali risultati si stia raggiungendo e quindi in quale direzione sta andando l'azienda. Un imprenditore può fare riferimento ad un'agenzia di comunicazione, ma per quanto riguarda il marketing, esso è uno strumento che nessun imprenditore potrà mai delegare ad un'agenzia esterna. Perciò, il marketing è una competenza essenziale che l’imprenditore deve possedere.
Un’altra strategia per fare eccellere la propria impresa imprenditoriale è lo sviluppo dei tre seguenti fattori che vanno ad alimentare il cuore pulsante di un’azienda e sono:
Individuare le necessità del proprio cliente è il primo elemento che deve essere presente nella strategia di un’azienda. In parole semplici, è l’individuazione di un gruppo di persone che potenzialmente può acquistare l’offerta portata avanti dall’azienda e porta ad analizzare quindi il profilo del potenziale cliente.
Un’azienda di successo deve possedere tale elemento che porta l’impresa a distinguersi tutte le altre proposte sul mercato. L’elemento differenziante ha il compito di fissare nella mente delle persone l’azienda. L'elemento differenziante possiede anche il potere di distinguere un’azienda all’interno di una categoria di settore specifico, tanto da identificarti proprio in quella categoria Aziende che hanno avuto successo grazie a tale strategia sono Coca Cola, nel caso della sua bevanda ed Apple, nel caso dell’iPad, che tramite il nome dei loro prodotti hanno dato nome a una categoria. Nel caso di Atelier Italiano, l’elemento differenziante è il fatto che l'abito viene disegnato apposta per ogni singolo cliente, portandola a distinguersi sul mercato.
Diventare esperti di comunicazione è fondamentale per un imprenditore in quanto è l’unico modo per trasferire l'elemento differenziante al target specifico. La comunicazione non solo è importante nella relazione con il cliente, ma anche in quella con i collaboratori, fornitori, e fondamentale come gioco di squadra. È un elemento determinante.
Tutti e tre questi elementi hanno a che fare col fattore umano, in particolare con la psicologia umana. Capire le persone, i loro problemi, le loro caratteristiche, le loro abitudini e tutto psicologia aiuta a riconoscere il target. In particolare, riuscire ad interpretare un elemento differenziante è l’elemento più fra tutti incentrato sul fattore umano in quanto da imprenditori bisogna essere capaci di mettersi nei panni degli altri, analizzare la concorrenza per rendersi unici.
A racchiudere questi concetti è un libro intitolato “Il tocco di Mida” di Robert Kiyosaki, autore di bestseller internazionali che insegna alle persone a gestire il denaro in maniera proficua per migliorare la propria vita finanziaria. Questo libro, che si intitola insieme a Donald Trump, fa riferimento a Mida, un personaggio mitologico in grado di trasformare in oro tutto quello che toccava. Perciò il “Tocco di mida” nel mondo imprenditoriale è la capacità di prendere un’azienda e renderla profittevole. Esso rappresenta un modello e insegna a tracciare un percorso verso una destinazione che deve essere in seno all’azienda. Inoltre, questo modello indirizza l’imprenditore a migliorare la propria capacità di leadership. Se non c'è un leader competente, in grado da fare da leader in primis a sé stesso e poi anche al proprio gruppo di lavoro, l’azienda rischierà di andare alla deriva, senza un capitano a tenere il timone e a guidare la ciurma.
Ecco perché è essenziale parlare di fattore umano nei processi di formazione, soprattutto da enti che si occupano della formazione imprenditoriale. Oltre che riguardare la crescita personale, è strettamente correlato alla crescita aziendale. L’obiettivo imprenditoriale è quello di investire nelle persone per far capire a loro, nel caso di Atelier Italiano, che il vestito che si va a progettare è il miglior vestito che potrebbero mai scegliere proprio perché è stato disegnato apposta per quel cliente. Di conseguenza, per convincere le persone è necessario capire come funzionano gli esseri umani in generale. Non solo: il fattore umano aiuta gli imprenditori a relazionare meglio con gli esseri umani e quindi creare delle relazioni con gli altri più nutrienti possibile più vantaggiose per entrambi.
Tra le altre abilità di base che fanno parte del mondo imprenditoriale troviamo la gestione del cash flow, ovvero la capacità di gestire il flusso di liquidità all'interno dell'azienda. Una buona gestione del cash flow permette ad aziende che registrano perdite sostanziali ad ottenere un profitto. Al contrario, una cattiva gestione dei flussi di denaro potrebbe portare aziende floride in perdita. Successivamente, nell’azienda è essenziale una buona comunicazione, sia all'interno della squadra che nelle relazioni che l'azienda ha con il mondo esterno tipo con i fornitori, collaboratori e clienti. Inoltre, una azienda florida deve possedere una propria sistemistica, ovvero una duplicazione dei protocolli lavorativi. In altre parole, l’azienda essere in grado di trasmetter una serie di azioni e competenze affinché chiunque possa compiere quelle stesse azioni. Quindi l’azione del sistematizzare è l'unico modo attraverso il quale l'azienda può crescere: senza sistematizzazione l'azienda non può crescere perché ci sarà sempre bisogno dell’imprenditore. Se manca quell’individuo nulla può andare avanti considerando che gli altri dipendenti non hanno le informazioni adatta a svolgere il lavoro. Ecco perché i protocolli di lavoro sono essenziali, non solo nei momenti di emergenza, ma anche nella gestione quotidiana dell’azienda.
Se vuoi saperne di più su il fattore umano ed altri argomenti, visita il sito web Atelier Italiano, lascia un like e facci sapere cosa ne pensi qui sotto nei commenti per essere ricontattato!
Carmen Critelli
Hai sempre voluto realizzare una camicia da sola, ma applicare le varie parti ti è sempre risultato complesso?
Qui sotto troverai tutto il necessario a realizzare la tua camicia, passo dopo passo!
Collo
Occorrente:
Preparazione della camicia
Si procede con la preparazione dello scollo in modo da avere un lavoro finale pulito.
Il taglio di 45° permette di ottenere più tessuto per la cucitura del collo.
Come applicare il collo
Procedimento
I due pezzi si devono sovrapporre perfettamente senza rimanenze dall’inizio alla fine. Per farlo aiutarsi con le mani sentendo il tessuto teso da entrambi i lati.
Il filo scelto dev’essere dello stesso colore del tessuto o, in mancanza, di un tono più scuro.
Maniche
L’applicazione della manica è uno di quei lavori sartoriali che risulta ostico anche ai più esperti ma seguendo le giuste indicazioni, e con un po’ di pratica, è uno scoglio facilmente superabile.
Esistono due metodi per applicare la manica: con l’aiuto delle filze o a mano libera senza le filze.
Le filze sono dei punti molto larghi dati a mano, lasciati senza nodi, che possono essere utilizzati per arricciare il tessuto.
Nel caso della manica l’arricciatura che si creerà sulla spalla, insieme ai punti di riferimento, faciliterà notevolmente l’applicazione della stessa.
Metodo 1: manica con filze
Occorrente:
Procedimento
Per facilitare l’unione delle due parti, lavorare con il corpetto sotto teso e la manica morbida sopra.
Metodo 2 : manica senza filze
Occorrente:
Procedimento
Alla fine del lavoro, rifinire l’interno con taglia e cuci o, in alternativa, con punto a zig zag con un punto interno ed uno esterno.
Terminare con la cucitura degli orli in basso, piegando due volte il tessuto o ad 1 cm o a 0,5 cm.
NOTE
La stiratura corretta delle cuciture contribuisce a far cadere il capo correttamente.
Nel caso della camicia si dovranno seguire queste indicazioni:
Asole
Il primo passo per cucire asole perfette è quello di conoscere la propria macchina da cucire e i piedini in dotazione.
Anche per le asole, ogni tipo di piedino lavora in modo diverso.
Le spiegazioni che seguiranno sono applicabili ad un piedino che lavora cucendo l’asola dal basso, con la possibilità di inserire il bottone per misurarne il diametro.
Le asole vanno cucite sulla parte sinistra del DAV mentre a destra andranno i bottoni e dovranno essere posizionati in modo tale da rimanere all’interno dei 2 cm della cucitura.
Nel caso in cui si vogliano utilizzare bottoni grandi, bisognerà calcolare una cucitura del bordo adeguata in modo che il bottone rimanga al suo interno.
Come posizionare le asole
Procedimento
Calcolare il posizionamento delle altre asole:
Esempio:
misura dalla prima asola all’ultima 50 cm. Vogliamo applicare 7 bottoni da 1cm di diametro:
50 cm / 6 (si esclude il primo bottone) = 8,3 cm
Il punto segnato con lo spillo rappresenta il centro del bottone; per trovare l’inizio dell’ asola, bisognerà spostare lo spillo di 5 mm verso il basso. A questo punto allineare con l’inizio della prima asola tutte le altre.
Solo successivamente andranno applicati i bottoni.
In caso di tessuto elasticizzato bisognerà utilizzare la frisellina per mantenere il tessuto rigido.
Se questo articolo ti è stato utile diccelo nei commenti.
Anna Chiara Rubino