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3 Maggio 2023

Provocatori si diventa: cinque consigli di moda spavalda e alternativa

Volete diventare anche voi maestri della provocazione e creare abiti che facciano parlare di sé? Ecco qualche dritta per imparare a fare scalpore.

Due giovani stiliste, Grisel “Madame” Leblanch e Valentina Mereu, presentano i loro bozzetti allo sguardo sicuro di Orietta Ciccarelli, la signora della fashion school Accademia Monti. Si ispirano dal cinema, dalla musica, dalla sottocultura glam, e accompagnano il loro lavoro da immagini simboliche. È chiaro, sin da subito, l’intento dei loro modelli: superare i limiti e fare scalpore. 

L’intendo provocatorio dell’alta moda è da sempre una parte integrante di essa, e negli ultimi decenni non sono pochi i nomi dei grandi stilisti che hanno dato priorità, coi loro disegni, alla creazione di uno stile eccentrico e lontano da ciò che viene riconosciuto come comune decoro. È la moda alternativa: uno stile di vita, un lavoro, una manifestazione artistica. Ma come fa notare Ciccarelli alle sue pupille non basta inserire forme particolari e pattern azzardati per proclamarsi provocatrici. 

E voi, vi sentite pronti ad affrontare la sfida dello scandalo? 

Se anche lo foste non c’è fretta: prima mettetevi comodi e ascoltate qualche dritta per farlo bene, da Ciccarelli e dalla Storia stessa. 

1. Realizzate una moodboard con le vostre idee 

Il termine moodboard “tavola d’atmosfera”, a riferimento a un lavoro grafico digitale in cui immagini, colori e richiami alla cultura pop vengono combinati artisticamente in un impalpabile collage. Il guizzo artistico c’è, ed emerge dalla combinazione degli elementi: cosa appare nel loro grafico, in che ordine, con che struttura. Quali sono i colori, le linee, le estetiche determinanti e le immagini al centro del lavoro. Una vera e propria interpretazione scenica, che permette di far prendere vita a una proposta artistica in modo immediato e calzante. 

Ed è così che un mantello rosso che garrisce al vento, un cielo senza nuvole, una meteora tra le stelle e una gentile mano aperta rievocano il personaggio di Superman. Una scarpetta di vetro, una zucca, qualche topolino e un rocchetto di filo richiamano alla mente Cenerentola. La moda prende in mano questo linguaggio e costruisce attorno ad esso un’intera installazione. La qualità evocativa delle immagini preesistenti si combina con i guizzi artistici dell’autore, che rielabora nella mente colori, forme e tropi stilistici riportati nella moodboard per dare vita a capi d’alta moda che richiamano le immagini alle quali siamo familiari.

“La moodboard”, riassume Ciccarelli, “non è solo una raccolta di immagini. Dovrebbe servire […] dare l’idea, l’atmosfera del tema che si è scelto. Dovremmo cercare delle immagino che evocano nella persona che guarda questa moodboard le suggestioni dell’ambiente o dell’ispirazione in cui noi la vogliamo trasportare”.

L’aspirante stilista Valentina Mereu, nel suo bozzetto, celebra la stagione e la nostalgia. Il suo modello si ispira a uno dei personaggi più conosciuti del cinema gotico mainstream. Beetlejuice, interpretato al cinema da un effervescente Michael Keaton, è – come tutte le creature strisciate fuori dalla mente di Tim Burton – immediatamente riconoscibile. Nessuna sorpresa che abbia lasciato la sua impronta anche nella mente della giovane stilista, abbigliato in un accattivante completo a righe verticali bianche e nere, per riportare alla mente il bizzarro personaggio. Con un pizzico di Jack Skeletron, da The Nightmare Before Christmas, nella riconoscibile linea del frac e nell’affilato papillon. 

Sono buoni punti da cui anche voi potete partire: lo stile è uniforme, la visione artistica di Tim Burton è conosciuta, la sua estetica è distinta e riconoscibile. Ma c’è un ma. “Quello che potrebbe essere migliorato”, fa notare Ciccarelli a Mereu, “è creare l’atmosfera di Tim Burton. Che cosa ti suscita […] Che tipo di emozioni”. Non solo i vestiti, ma anche l’ambiente circostante, tutto filtrato dallo sguardo e dalla nostalgia dello stilista. Non basta caricare su schermo una locandina del film, per suscitare l’atmosfera del Maestro dell’Orrore: bisogna far prendere vita ai suoi mondi, costruire un universo à la Burton attorno ai bozzetti. “Da cosa”, chiede Ciccarelli, “potevo intuire quale fosse l’ispirazione?”

Studiate i vostri personaggi e le vostre culture preferite, ma non limitatevi a copiare e ricalcare. Scoprite le loro influenze, andate indietro nel tempo, e cogliete tutte le ispirazioni possibili. Fate vedere al vostro pubblico che sapete di cosa state parlando: e soprattutto che vi piace. 

2. Sperimentate con le forme: la moda è arte 

“Parigi [era conosciuta] per il grandeur. L’Italia per il buon gusto. L’Inghilterra per la stravaganza”: è così che Ciccarelli apre la sua trattazione sulla moda alternativa nel passato. E non si può parlare di stravaganza inglese senza dedicare almeno uno sguardo a Vivienne Westwood, la santa patrona (pagana) del punk. In un’Inghilterra che lasciava alle spalle i toni manierati e composti dello stile beatnik, e cominciava anche a stancarsi della sognante leggerezza dello stile dei figli dei fiori, ecco emergere una boutique chiamata semplicemente “Sex”. Il regno di Vivienne Westwood, una “pazza autentica” nelle parole di Ciccarelli. 

Ma la storia di Westwood non si conclude col punk, e gli abiti della sua tarda carriera hanno poco a che vedere con il lattice e le borchie del suo debutto. La stilista era appassionata di costume storico, e la sua creatività prende vita in una combinazione di passato e presente. Crinoline (già tentate nel punk, in formato pieghevole e quotidiano), gonne ampie e scollature a forma di cuore, nei colori del nero come del rosa pastello. Gli ultimi modelli osano ancora di più, ricalcando il costume classico di Arlecchino. “È la sua versione degli abiti costume”.

Da emblema di ribellione, Vivienne Westwood diventa baluardo di una cultura e tradizione più raffinata, ben inserita nella Storia, ma fuori dalla passerella non abbandona la sua velleità ribelle. Le sue ultime magliette recano la scritta “I AM NOT A TERRORIST, please don’t arrest me” (“non sono un terrorista, per favore non arrestatemi”). I richiami alla cronaca contemporanea, in particolare ai fatti sulla brutalità della polizia, sono evidenti e sonori. E ricordano, naturalmente, le origini del punk: una ribellione ai sistemi ingiusti, all’oppressione dei più deboli, allo strangolamento della libertà. 

Siamo, naturalmente, in tempi molto più aperti – mentalmente, come in termini di moda – rispetto agli anni settanta che videro l’ascesa alla ribalta di Vivienne Westwood. Ma ci sono ancora molti altri modi per creare qualcosa di nuovo e mai visto prima. Non abbiate paura e lasciate andare la fantasia: la moda è una tela bianca tutta da colorare. 

3. Prendete ispirazione dalla Storia e dalle culture del mondo 

Su cosa basare un abito alternativo abbandonando i riferimenti moderni? 

Come si faceva, per esempio, quando Tim Burton non lavorava e non c’era un Beetlejuice da cui ispirarsi?

Lo spiega Ciccarelli, raccontando le velleità alternative degli stilisti degli anni settanta. Un vero e proprio accordo intercontinentale, in cui le sensibilità brit-punk di Vivienne Westwood incontrano l’avveniristica eccentricità del designer giapponese Takada Kenzo

La passione di Takada era il colore, che combinava in modo eclettico e pittoresco: una netta deviazione dagli stilisti suoi contemporanei in Giappone, nelle cui collezioni campeggiava il nero. Amava gli abiti folcloristici, dai quali costruiva i suoi modelli fin quasi a creare veri e propri costumi di carnevale. E facendo proseliti: il nome che spicca sugli altri è italiano, quello del sardo Antonio Marras. Takada verrà accompagnato dall’alta moda per tutta la vita, letteralmente fino alla fine. Viene a mancare nel 2020, presso l’Ospedale Americano di Parigi a Neully-sur-Seine: la stessa clinica dove morì Karl Lagerfeld. 

Ma anche tra gli amanti del total black, in Giappone, vige la varietà. Spicca il nome di Issey Miyake, eclettico artista che si diletta di arte e artigianato parimenti che di stilismo. Il suo percorso formativo lo conduce sotto l’ala protettrice delle alte sfere della moda francese: Guy Laroche, Hubert de Givenchu, Geoffrey Beene. Nessun intento, però, di limitarsi a seguire passivamente le loro tracce. I disegni di Miyake si predicano sull’idea che gli usi e le mode francesi non sono un vangelo, e che anche per i discepoli c’è possibilità di scelta. 

Issey è chiamato il Fortuny Della Moda – in riferimento all’omonimo creatore di abiti plissettati dalla tecnica ancora inconoscibile, che era possibile piegare e scomporre in una piccola borsa. Anche lo stilista giapponese si appassiona al plissé, riprendendo da stoffa e disegni caratteristiche della cultura giapponese per creare abiti-statue dalle forme solide, scolpite e geometriche. Una sperimentazione che esiste fuori dalla nostra cultura: “di italiano, a far così, mi viene giusto Capucci”, commenta Ciccareli. A indossare alcuni dei modelli, tanto rigidi e scolpiti, risulta difficile anche solo camminare: il paragone immediato è quello con le geishe, e le loro movenze a piccoli passi. Qualcosa che solo uno stilista giapponese avrebbe immaginato. 

Ma ci sono tante altre culture, dentro e fuori dall’Italia, con modelli che vale la pena scoprire. Mettetevi in gioco anche voi, combinate gli elementi che vi piacciono di più e create un modello mai visto prima. Preferite i riferimenti storici o volete che il vostro pubblico sogni il futuro? 

Sta a voi decidere.

4. Non esagerate: un design semplice spicca meglio

Concluso il paragrafo sul Giappone, Ciccarelli sposta il navigatore e conduce le sue spettatrici inin Inghilterra. Siamo negli anni settanta: l’epoca di Mary Quant e del punk, in cui la moda di strada viene elevata fin sopra le passerelle. Un nome che spicca su tutti è quello di Biba, “il marchio simbolo della Swinging London”. Creato nel 1963 dalla stilista Barbara Hulanicki e dal marito Stephen Fitz-Simmons, il brand viene sintetizzato da Ciccarelli come un’antenata oltreoceano di marchi come Zara. Una moda pulita, immediata e pratica, che punta a un pubblico giovane desideroso di combinare uno stile moderno con prezzi accessibili. I grandi magazzini Biba, aperti a Londra, accompagnavano l’immediatezza delle loro collezioni con un’architettura d’altri tempi, ispirata allo stile Liberty. Decisione, sulle prime discutibile: in che modo un’estetica proveniente dal mondo dei loro genitori dovrebbe suscitare le simpatie di una nuova generazione?

Eppure Biba piace, e il suo inconfondibile logo a forma di fiore dorato diventa uno stemma riconoscibile e prezioso. L’architettura sontuosa, ricordo di un’epoca passata e distante, contrasta con una moda contemporanea e fresca, che dà priorità alla vestibilità. Maglioncini, pantaloni a zampa, vestiti e cappotti ricchi di pattern e stivali di vernice, venduti in quella che più che una boutique dell’epoca pare un museo. I testimonial si sprecano: spicca il fascino adolescenziale di Twiggy, “il prototipo di bellezza di quegli anni, la nostra Kate Moss”. L’arredamento accoglie subito il pubblico, flirtando giocosamente con il sensuale: i bagni e le aree riposo presentano cuscini dai toni gioiello, divanetti, poster di modelle discinte. 

Non dovrebbe dunque sorprendere che Biba espande il proprio brand, allargando le vendite anche oltre l’abbigliamento. Vendono trucco, oggettistica, materiale d’arredo, e su ogni cosa campeggia un inconfondibile logo dorato su fondo nero. All’epoca esporre loghi tanto grandi sui propri capi e oggetti d’uso era considerato di cattivo gusto: ma il logo di Biba – solitamente nella forma di un fiore – diventa uno stendardo di riconoscimento, sotto la cui egida si riuniscono la gioventù di Londra e le popstar del momento. 

L’epopea di Biba si conclude negli anni settanta: il suo momento d’oro è passato, e Barbara Hulanicki vende i diritti del brand. Come si poteva, dopotutto, mantenere un grande magazzino da cinque piani con capi a poco prezzo, di immediata vestibilità? Di Biba rimane la leggenda, che risorge dalle sue ceneri col ritorno in auge del vintage anni settanta. Gli appassionati di fast fashion, in cerca di un pezzo di storia, sanno dove riunirsi: sotto un palazzo di altri tempi, sotto uno stendardo nero e oro. 

Quelle parole le ascolta anche Grisel Leblanch, altra aspirante stilista, che si presenta lo pseudonimo Madame Leblanch, a conquistare il cuore (e gli occhi) di Ciccarelli? Nonostante gli abiti bianchi che campeggiano alle sue spalle mentre presenta il suo lavoro alla sua superiore, anche lei mostra un’immediata affinità col gotico. Ha dalla sua un gatto nero, dal macabro nome di Salem: e nonostante il detto popolare, la fortuna gira dalla parte della sua proprietaria. La sua modella è giovane donna sorridente, vestita di rosso, che solleva la sua lunga gonna come per abbandonarsi a un ballo. “Il vestito va bene”, proclama Ciccarelli: e anche Grisel sorride, come la sua musa. 

Si lavora con programmi di grafica semplici: anche Canva va bene, per impratichire il proprio senso estetico. Le moodboards, puntualizza Ciccarelli, collocano i bozzetti “nella giusta atmosfera”: la chiave di volta per incantare il pubblico e sorprenderlo per davvero. La moda, nelle parole della direttrice, diventa un banchetto raffinato. Se il bozzetto è il pasto, la moodboard che lo accompagna è la tavolata: un servizio fine, una tovaglia pulita e una stanza bene arredata saranno sempre la prima impressione per i commensali. 

E dopo? Continuare a lavorare, in cerca di un tema e un team col quale continuare a rodarsi per il campo di battaglia chiamato “lavoro d’atelier”. Un lavoro che non esiste in tempo reale, ma che si dipana nel tempo ed evolve in continuazione, vivo come i pensieri della persona che l’ha creato. 

Nel frattempo si torna da Valentina Mereu, e alla sua passione per le sue sottoculture. Il suo secondo bozzetto – con la modella disegnata con un braccio dietro la schiena, perché disegnare le braccia è un incubo che infesta anche i professionisti – porta alla vita il mondo del rock and roll. Mereu battezza la sua nuova musa Victoria Thoizon e accompagna la sua sfilata cartacea con immagini glam di microfoni e riflettori accesi. Ciccarelli, stavolta, ha ben poco da ridire: pochi tessuti, poche idee, ben combinate ed elevate. Less is more, come si dice in gergo. Basta che il messaggio passi. 

Ricordatelo bene anche voi: bisogna sapersi divertire e non bisogna spaventarsi all’idea di creare qualcosa di strano, ma l’obbiettivo primario è creare qualcosa di riconoscibile e gradevole. Una silhouette immediatamente visibile e pochi elementi riconoscibili creano i lavori più efficaci. 

5. Guardatevi intorno: cosa cerca il vostro pubblico? 


Verso la fine della lezione, a Ciccarelli resta poco tempo. È allora che con un veloce sguardo alla moda del decennio seguente chiude in maniera definitiva il paragrafo sull’epoca conclusa. Gli anni ottanta si lasciano alle spalle la sregolatezza dei 70s e puntano a uno stile essenziale e slanciato, adatto a un mondo del lavoro che non faceva prigionieri. È l’epoca degli yuppie, di American Psycho e del lusso sfrenato. “Donne belle e disponibili, sole e spiagge, musica pop, cocktail e coca”: così lo riassume Ciccarelli, e quel mondo di consumi si richiede anche costumi di scena adeguati. 

Un mondo di uomini, ma anche donne in carriera. Le differenze di genere si scremano: tutti portano spalle strette, spalline imbottite e vita molto marcate. Le donne si tagliano i capelli,  su modello delle dive Annie Lennox e Grace Jones e indossano il tailleur a lavoro. Limitano la femminilità più tradizionale agli abiti da sera, che pur mantengono i colori più cupi dei capi da lavoro, e la lingerie, costosa e spesso ostentata attraverso i vestiti. Lo si può vedere nelle serie tv, che celebrano ed estetizzano la vita degli ultraricchi: Dallas, Dynasty e Miami Vice. Zero problemi morali, zero interesse per politica e ideologia: soltanto soldi, divertimento e lussuria. Perché, dice scherzosamente Ciccarelli, non farsi una “riga” di affari propri?

Il racconto si conclude qui, ma la storia che racconta continua anche al di fuori delle scuole di stilismo. Continua sui bozzetti delle nuove stiliste, che fanno del disegno forte e delle linee marcate dei loro predecessori i punti di forza della loro ragionata provocazione. Continua nel lavoro di Valentina Mereu e Geisel Leblanch, e nella personalità forte di Orietta Ciccarelli – continua sui tavoli di lavoro degli stilisti emergenti, nelle loro personalità eccentriche, e nelle pagine di chi, quella storia, vuole continuare a raccontarla. 

E potrebbe continuare anche da voi, se sfrutterete bene i vostri talenti e il mondo che vi circonda. 

Se terrete gli occhi aperti e vi lascerete coinvolgere da quello che vedrete potrete diventare, anche voi, i prossimi passi nella storia della moda. Che sarà diversa da quella del passato, perché diversi sono i tempi in cui nasce, ma che avrà impressi i pensieri e i desideri del suo pubblico. 

Moda

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Lady R

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